2009 nr.3

 

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Montagnin in Paradiso

 

Cinque Montagnin sono passati a miglior…vetta... e cioè quella del Gran Paradiso! Quale occasione più propizia se non quella del minisoggiorno in Valsavarenche, ove abbinare l'ascesa alla vetta, per quanti si fossero sentiti in grado di affrontarla, a un più morbido programma di gite adatte a tutti!
Elisa accarezzava l'idea da mesi e con la complicità di Angelo la metteva in opera. L'impresa rivestiva una certa importanza trattandosi di un 4000 "sociale" dopo credo uno svariato numero di anni!
Comunque tutto il programma era assai appetitoso e il buon Dio ha voluto concederci quattro limpide giornate per poter contemplare le Sue meraviglie e il Suo migliore… Angelo per farcele trascorrere in allegria e serenità!

Ed ecco come è andata.

Nonostante le consuete incomprensioni logistiche, la carovana di auto riesce infine a riunirsi presso il grazioso Hotel Parco Nazionale situato nella cittadina di Degioz, nel cuore della Valsavarenche. Depositate le nostre masserizie in un'ampia sala messaci a disposizione dalla gentile proprietaria, raccogliamo in fretta il necessario ed eccoci pronti per la prima gita: da Pont, a pochi chilometri da Degioz, attacchiamo il sentiero n.3 verso il Rifugio Savoia sulla strada per il Colle del Nivolet. Subito una bella rampa di circa un'oretta ci ricorda che per poter ammirare… prima bisogna salire! Con noi salgono anche altri escursionisti, fra i quali due di mezz'età ci alleviano la fatica rendendosi protagonisti di un curioso battibecco: lei arrabbiata accusa lui di rimanere indietro… lui non le risponde e sale…; lei gli urla dall'alto che fa sempre così, comincia a correre, si stanca e poi non ce la fa più e resta indietro…, lui non le risponde e sale…; lei continua a inveire, a urlare e a rimproverarlo, incurante di chi sente,... lui non le risponde… e scende. Lei gli corre dietro pregandolo di non tornare a valle, lo supplica con voce ora dolce e suadente… giura che non gli dirà più nulla…. Ma temiamo che ormai sia troppo tardi. Perdiamo le loro voci con l'aumentare della distanza tra noi in salita e loro in discesa.

La nostra fatica viene infine premiata dal primo scorcio del Gran Paradiso dal punto panoramico dominato dalla Croce di Arolley, a circa 2300 metri di quota.  Questo punto è una specie di ingresso: da qui in poi si apre una lunga e ampia valle quasi pianeggiante fino alla meta, lungo i piani del Nivolet seguendo il corso della Dora di Nivolet. Incontriamo ponticelli, laghetti, punti panoramici, lasciandoci alle spalle, sempre più nitida, la splendida sagoma della Grivola, che sino a fine percorso resta sempre al centro delle nostre inquadrature fotografiche.

Il rifugio Savoia vanta un'invidiabile posizione in un'ampia conca pianeggiante posta poco sotto il Colle del Nivolet ed è affacciato sui due omonimi laghi; per contro è affollato da orde di turisti che possono raggiungerlo anche in automobile lungo la rotabile proveniente da Ceresole Reale.

Ci disperdiamo: qualcuno consuma il proprio panino sulla riva del lago, qualcuno nei pressi del rifugio. Dopo pranzo una parte del gruppo rientra subito in hotel, mentre un'altra parte, con ulteriore breve salita, conquista lo splendido lago Rosset, di un azzurro sconvolgente circondato da belle vette come la Punta Leynir e il Taou Blanc, l'immancabile Grivola, e la superba sequenza Gran Paradiso – Ciarforon – Becca di Monciair – Denti di Broglio – Punta Violetta. Altri specchi lacustri nei dintorni. Dopo svariate foto improvvi-siamo la via del ritorno per un ripido pendio, riguadagnamo l'asfalto e riprendiamo il sentiero dell'andata per  Pont. Lungo il sentiero ci viene incontro con circospezione un'inaspettata amica: una piccola volpe affamata e un po' malandata che aveva imparato che certi umani, specie se dotati di copiose provviste alimentari, possono essere avvicinati, con le dovute cautele, e sfruttati per riempire il pancino…. Infatti chi di noi ha del pane glielo butta ma poco ci manca che venga a prenderselo dalle mani, e così fanno anche altri escursionisti di passaggio. Ci fa molta tenerezza e perdiamo molti minuti a guardarla e fotografarla.

Riprendiamo il cammino accorgendoci che si è fatto tardi: il nostro hotel ci ha promesso una tipica cena valdostana… e abbiamo amici, note buone forchette, che ci precedono... Si ordiscono oscuri piani per tenerli lontani dai succulenti piatti…

Ed ecco infatti una lunga teoria di affettati, verdure grigliate e il curioso abbinamento del lardo di Arnad con le castagne calde al miele…  che potreste dire essere non tanto... e invece!!!... Si prosegue con piatti più classici: carbonada tenerissima e salsiccine in umido con abbondante contorno di polenta concia. Non so perché ma non terminavano mai assieme: il residuo di salsicce imponeva doversi procurare ancora "un filino" di polenta... Il residuo di polenta imponeva di essere accompagnato ancora da "un filino" di carbonada… e così via fino ad esaurimento scorte!!

Il giorno successivo siamo di nuovo a Pont. La meta stavolta è il Rifugio Vittorio Emanuele II, base di partenza per l'ascesa alla vetta del Gran Paradiso.

Colpo di scena: perdiamo Elisa! Nel match con la cena Valdostana… ha vinto quest'ultima, privando il nostro Presidente di una soddisfazione che aveva in cuore da mesi!!!

Saliamo tutti insieme senza troppo sforzo su uno dei più noti itinerari reali, che si eleva, zigzagando, lasciando in basso ombrosi boschi e raggiungendo a poco a poco le vette innevate. Una miriade di escursionisti sia in salita che in discesa ci fa compagnia. Il rifugio si nasconde proprio fino all'ultimo quarto d'ora di marcia, poi si manifesta prepotente col suo orribile coperchio di latta. Tuttavia il posto è piacevole: un'ampia terrazza, un adiacente placido laghetto e le incombenti cime innevate del Ciarforon e della Becca di Monciair. Il Gran Paradiso resta nascosto da un risalto roccioso, ma dopo pranzo un gruppetto di Montagnin lo va a scovare poco oltre il rifugio percorrendo un piccolo tratto della via normale verso la vetta. Ed eccolo lì, proprio dietro l'angolo…. splendido col suo bianco ghiacciaio! A questo punto il gruppo si divide: la maggior parte dei Montagnin torna a valle e solo cinque ardimentosi, Angelo, Alessandra, Cesare, Paola, Gianni, passeranno la notte al rifugio in attesa dell'alba che li vedrà protagonisti dell'impresa, la conquista della vetta!

Il pomeriggio viene speso nel controllo dell’attrezzatura: regolazione e fissaggio dei ramponi, utilizzo della corda, ripasso dei nodi, ecc. Gianni esibisce un paio di scarponi ramponabili da urlo: quelli rigidi con scarpetta interna… super tecnici! Ce li mostra rigirandoseli tra le mani con espressione compiaciuta... Che invidia!

La cena è abbondante e decorosa in una sala affollata di alpinisti multilingue… e ci sentiamo un po' alpinisti pure noi anche se un po' in erba, (capocordata a parte). Ammiriamo le stesse vette del pomeriggio nei colori dorati del tramonto fino a veder spuntare le prime stelle. Ci ritiriamo presto nella nostra stanzetta a cinque cuccette, dove la parola spazio è un'utopia… La sveglia sarà alle 4,30!!!

Buio pesto!.... Cielo stellato… Poche voci nel rifugio ma continui rumori di frenetici preparativi. Nella penombra dei corridoi, con l'aiuto delle frontali, muovendosi come ladri… si preparano gli alpinisti. Facile inciampare in un rampone o veder serpeggiare corde multicolori. Molti ci hanno già preceduto. Ora tocca a noi: sono le 5,45! Comincia ad albeggiare ma la frontale ancora serve soprattutto per superare la prima pietraia a ridosso del rifugio. Neanche cento metri… uno degli scarponi supertecnici di Gianni si apre completamente…. (Evidentemente non ha letto la pagina del nostro sito a riguardo degli scarponi) Nessuno è più invidioso!.... Accompagno Gianni al rifugio: ripiegherà sulle pedule, ma ciò significherà dover regolare i ramponi sul nuovo scarpone e assicurarlo bene in quanto la pedula, a suola flessibile, non garantisce la buona aderenza al rampone.

Questo piccolo episodio, risoltosi fortunatamente bene, serve comunque a insegnarci che la gita alpinistica non ha la stessa valenza di un'escursione: piccoli errori o disguidi possono generare perdite di tempo che rischiano di compromettere tutta la gita.

Ricongiuntici agli amici ci avviamo definitivamente sulla pietraia. Grossi blocchi e fratture da superare con attenzione alla luce della torcia, poi una ripida serpentina su detriti ed eccoci sulla morena, in lunga moderata pendenza. Il panorama si apre: in basso, in lontananza ancora le flebili luci del rifugio e l'evidente traccia della via normale, in alto le cime lontane cominciano a tingersi di rosa ancora vegliate da una sempre più pallida luna.

La nostra meta ci appare già da un po' ma all'improvviso assistiamo a un evento singolare: proprio sulla cima scorgiamo un punto luminoso,  brillantissimo come il faro di un rifugio, che sappiamo bene non esistere in vetta… abbiamo un attimo di esitazione… poi realizziamo: si tratta di Venere che sta sorgendo proprio sopra la cima del Gran Paradiso! Si stacca verticalmente dalla vetta e dopo pochi minuti sparisce nel chiarore del primo mattino. Al termine della morena ci troviamo di fronte a una breve paretina rocciosa da risalire con cautela. Sopra di essa la vista spazia su Taou Blanc, Grivola, Monte Bianco,… Ora affrontiamo un tratto poco pendente di placche rocciose ove gli ometti abbondano: più tracce si intersecano e solo l'abilità di Angelo ci conduce correttamente evitando errori.

Dopo più di due ore di noiosi sfasciumi e pietraie finalmente raggiungiamo il ghiacciaio. Da un balcone roccioso osserviamo il canalone che verso il basso porta al rifugio Chabod, zona  terribilmente crepacciata, e che verso l'alto porta al Colle di Montcorvè tramite una chiara traccia che con un ampio arco verso destra aggira altre zone crepacciate! Lo scenario è sensibilmente diverso da quello di due anni prima quando effettuai il percorso dal rifugio Chabod, ove i crepacci erano chiusi e occorreva immaginarli più che vederli! Ora avevo di fronte uno scenario terribile e affascinante che mi suggeriva emozioni contrastanti!

Sull'ultimo lembo di terra  prospiciente il ghiacciaio tiriamo fuori tutti i nostri arnesi e avviamo un po' impacciate manovre. Moschettoni, chiusure, cordini, nodi, piccozze,… Assicuriamo i ramponi di Gianni ai suoi scarponi con ulteriori fettucce e pezzetti di spago…. aspetto poco professionale ma funzionale.

Siamo pronti. Posiamo il nostro primo piede sul ghiacciaio: la traccia è chiara e ben battuta. Molte cordate ci precedono, molte ci seguono. Angelo è il nostro capocordata e ci guida con passo lento ma costante. Il cielo è limpido e fa molto caldo, la fatica della salita si fa presto sentire, ma il paesaggio è da favola e tutto si sopporta! Sfatiamo subito la convinzione che vuole che dal Vittorio Emanuele non ci siano crepacci!... Tutto dipende dal periodo. La variazione di percorso rispetto alla normale, la stagione inoltrata, altri fattori… hanno fatto sì che noi ne abbiamo visti molti  e superati alcuni. Passandoci così vicini ne abbiamo intuito tutta la pericolosità, senza poter evitare tuttavia di ammirarne le strutture articolate, contorte, direi persino artistiche che ne imponevano l'inevitabile ripresa fotografica!

La progressione in cordata prevede l'attuazione durante tutto il percorso di alcuni accorgimenti volti al manteni-mento della sicurezza e richiede  la conservazione di un costante livello di attenzione. Inoltre la propria andatura, per il fatto di essere legati, è fortemente condizionata dall'andatura dei compagni e quindi un altro requisito necessario è la capacità di adattarsi ad un passo medio che vada bene per il più veloce come per il più lento. Tutti questi fattori rendono la traversata su ghiacciaio estremamente più "delicata" della solita gita!

Il lungo pendio finalmente termina e possiamo goderci un breve riposo sul colle di Montcorvè, un ampio pianoro a circa 3800 metri di quota, canonico punto di sosta delle cordate prima di affrontare il lungo zig-zag finale che porta al castello roccioso precedente la vetta. Mentre mangiucchiamo cioccolata e barrette ammiriamo panorami di indescrivibile bellezza! Davanti a noi il massiccio Ciarforon pare una collinetta; piatta come una tavola la valle verso il Nivolet percorsa solo due giorni prima ove splendono come due azzurri gioielli i laghi dalle cui rive ammiravamo il Gran Paradiso!

E' ora di ripartire. Paola sostiene che non proseguirà e ci aspetterà al colle… Nessuno la prende sul serio! Angelo ci garantisce che "lento pede" arriveremo tutti in vetta. Muoviamo infatti lentamente sulla prima ripida diagonale, fermandoci a prendere fiato spesso. Anche su questo tratto superiamo qualche piccola frattura e qualche insidiosa placca ghiacciata. Poi la pendenza si fa più dolce. Il sole colpisce la pelle come una lama e capiamo quanto sia vitale ad alta quota la protezione della crema solare. L'ultima sorpresa a separarci dalla vetta è un enorme, largo crepaccio superabile solo grazie a una scaletta metallica posta appositamente dalle guide come ponte fra una parete e l'altra. Dovremo salire la scala con cautela, rimanendo legati, mantenendo i ramponi ed evitando di impigliarci nella corda (e contemporaneamente facendo il possibile per immortalare il passaggio!). La scala ci deposita su uno stretto traverso che percorriamo con prudenza, poi un altro zig-zag ed eccoci proprio sotto le roccette sommitali. Appena più sù c'è la Madonnina (4061m), ma per raggiungerla bisogna togliere i ramponi, e superare su un delicato passaggio (da attrezzare) uno strapiombo di varie centinaia di metri, inoltre c'è un intenso traffico di cordate che salgono e scendono. Decidiamo che la nostra meta è raggiunta lì dove siamo, circa 30 metri sotto la Madonnina. Il panorama che osserviamo è a 360°. Angelo ci indica un po' di vette. Fra tutte spicca ovviamente il Monte Bianco. Sotto di noi, dalla parte opposta  il vasto e crepacciato ghiacciaio della Tribolazione che guarda sulla Valle di Cogne. Respiriamo “a pieni polmoni” tutto questo ben di Dio e a malincuore abbandoniamo la postazione. E' ora di tornare, siamo molto in ritardo!

Contrariamente alla salita su cui incide l’aggravante della quota, la discesa ha tempi molto ridotti e, nonostante qualche piede dolorante e qualche fotografa perditempo, riusciamo ad essere a valle in circa quattro ore contro le quasi sei dell’andata. In vista del rifugio la stanchezza comincia a farsi sentire e il passo rallenta…. Sono in testa al gruppo e scorgo in lontananza vicino al rifugio una figura nota che scruta l’orizzonte, a mo’ di piccola vedetta lombarda… Più mi avvicino più la riconosco…. Elisa ci è venuta incontro! Immaginando quale dispiacere potesse provare nel non essere dei nostri, quell’immagine mi suscitava una grande tenerezza. Brutti scherzi della stanchezza? Forse, ma mi è piaciuto vedere in questa scena l’immagine della chioccia che va a recuperare i suoi spericolati pulcini e vi dirò che il fatto mi ha anche un po’ commossa!

Seguono racconti, scambi di esperienze, commenti. Dopo breve sosta riprendiamo la marcia verso il basso, verso Pont e l’hotel di Degioz dove tutto il resto del gruppo ci attende sicuramente curioso di conoscere la nostra avventura. E infatti la serata viene spesa nei reciproci racconti del gruppo che è andato in vetta e del gruppo che ha effettuato altra splendida gita più a valle.

L’ultimo giorno vede le soluzioni più svariate: chi torna di corsa a Genova per motivi di lavoro, chi prende altre direzioni. Solo in quattro effettuano la gita in programma: un tratto di Alta Via n. 2 dalla frazione di Eaux Rousses ai laghi Djouan. Con l’ennesima giornata limpida e piena di sole i quattro, per la cronaca, Elisa, Silvestro, Eva e Alessandra, percorrono uno splendido sentiero che li porta a transitare per l’antica Casa Reale di Caccia di Orvieille, ora casa del Parco,  e successivamente per alcuni alpeggi, in morbida salita, con panorami mozzafiato su Gran Paradiso, Ciarforon, Grivola, Gran Nomenon, Gran Combin, lungo l’ampio vallone del torrente Nampio, affluente del Savara. Il placido lago Djouan è adagiato in una vasta conca dominata dal poco distante Colle dell’Entrelor che mette in comunicazione la Valsavarenche con la Val di Rhemes. Nelle vicinanze c’è un laghetto minore. Li visitiamo entrambi. Quindi spuntino, foto, momenti di contemplazione!

Nel caldo sole del primo pomeriggio ritorniamo alle nostre auto e quindi a Genova con un ulteriore bagaglio di immagini: quelle che abbiamo nelle nostre fotocamere sono un prezioso souvenir e un aiuto per la memoria, ma quelle che conserviamo nel cuore sono molto di più perché contengono anche il calore dell’amicizia e dell’aver condiviso insieme ancora una volta le bellezze del creato!

                        Alessandra Bruzzi

                                                                                                                                  

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