2003 nr.3

ArticoliHanno scritto

Home 
Siamo Qui 
Chi Siamo 
Regolamento Gite 
Programma 
Giornalino 
 Foto & Video 
Classifiche 
Curiosità 
Archivi 
Notizie Utili 
Percorsi GPS 
La posta 
Links 

 

Le Gole del Verdon

Dopo la riuscita organizzazione alle Calanques dell’anno scorso, grazie all’aiuto della Gianna (io parlo benissimo il parigino, ma non comprendo il francese parlato da questi meridionali della Provence) parto nell’organizzazione del ritorno (con i Montagnin c’ero stato nel 1993) alle Gole del Verdon. Passiamo molte ore al computer ed al telefono per far quadrare tutti i tasselli dell’organizzazione, ma alla fine tutto quadra. Il 31 maggio riempito il Pullman (alla guida Giulio, una garanzia) di 51 persone, partiamo alla volta di St. Paul de Vence. Nella piazzetta, famosa per il gioco delle bocce “petanque”,  tra il Café de la Place e la Colombe d’Or che, Yves Montand e Lino Ventura frequentavano, ci aspetta la nostra guida. Visitiamo il paese dalle stradine medievali, la Chiesa collegiata ed i bastioni dai quali si gode un bellissimo panorama. Nel pomeriggio trasferimento a Grasse per l’immancabile visita alla fabbrica dei profumi. Corsa agli acquisti di boccette varie e saponette profumate e quindi partenza per Castellane e sistemazione all’Hotel du Commerce. Tutto come da programma, sole compreso. L’indomani il sole continua a splendere e, mentre i turisti (10) effettueranno il programma accuratamente preparato, ( visita del paese, salita alla Cappella di Notre Dam du Roc, la Palud e “Route des Cretes” con i suoi innumerevoli belvederi sulle Gole) ben 41 camminatori partiamo con il pullman alla volta del Rifugio de La Maline. Il percorso sarà il sentiero Martel, considerato un classico delle Gole. Quest'anno, al contrario della volta precedente risaliremo il corso del Verdon. Iniziamo la discesa per raggiungere il letto del fiume. Superiamo alcuni tratti attrezzati, brevi soste per immortalare il panorama e finalmente siamo in fondo al Canyon. Raggiungiamo una prima spiaggetta, dalla quale vediamo il rifugio da dove siamo partiti. Al di la del fiume una parete strapiombante, alla base della quale si aprono delle grotte scavate dalla forza dell’acqua in chissà quanti millenni. Non si contano i rullini fotografici che vengano consumati (macchine digitali le abbiamo solamente io e Gianfranco) . Sono le 10 e la strada da percorrere è ancora tanta. Dopo una foto di gruppo ripartiamo.    Il sentiero costeggia il corso   d’acqua sino ad una salita e alla relativa discesa in un tratto franoso attrezzato da scale e da corde fisse. Arriviamo in un’altra spiaggetta, decido di sostare per il pranzo. Sono appena le undici e un quarto e, qualcuno osa lamentarsi. Purtroppo è l’ultimo punto di contatto con il Verdon. Poi il sentiero salirà e resterà sempre in quota. Il posto è incantevole, qualcuno finisce i rullini, io e Gianfranco scattiamo a mitragliera   (tanto il digitale non costa nulla). L’acqua ha   dei colori stupendi e si può vedere il lavoro millenario dell’acqua sulle rocce calcaree. La sosta dura solamente un ora. Bisogna ripartire, il cammino è ancora lungo. Incominciamo a salire e sotto di noi  vediamo la spiaggia dove abbiamo sostato.  Dopo un’oretta di cammino    ( dai 595 metri della spiaggia siamo saliti ai 700 metri  della Breccia Imbert) arriviamo alla scala, che con una discesa di 70 metri, ci portera alla base della Breccia. Constatato che la scala è bella libera da escursionisti in salita, invito il gruppo a scendere velocemente. Giunti quasi in fondo, un gruppo di francesi, invece di aspettare due minuti alla base della scala, iniziano a salire. In parigino dico cosa penso di loro, ma non mi capiscono (saranno meridionali di Marsiglia) allora li “mando in mona in goriziano”. Data la ristrettezza della scala l’incrocio è alquanto difficoltoso e non gli risparmio di qualche zainata in faccia, seguita da un “désolé pardon” . Un’altra volta aspetteranno in fondo. Ci raggruppiamo, abbiamo perso più di mezzora per scendere la scala. Qualcuno mi fa presente che sono appena le 13 e 30, egli ignora che non siamo nemmeno a metà percorso e, probabilmente il pullman non potrà scendere al posteggio del corridoio Samson, costringendoci ad una salita di 127 metri per raggiungere Point Sublime. Inoltre sento che il tempo stà cambiando. Mi dicono che sono il solito fifone e  che la giornata è troppo bella perche arrivi un temporale. Il sentiero prosegue lungo alcune cengie esposte attrezzate da corde ed in tratti scavati dalla natura nella roccia. La vegetazione ci impedisce in molti tratti di scorgere il corso del Verdon. Quando appare ci accorgiamo che l’acqua ha cambiato colore, ora è più lattiginosa. Qualcosa mi dice che a monte stia già piovendo. Qualcuno del gruppo, non abituato ad escursioni così lunghe (alla fine avremmo camminato per 7 ore) è stanco. Facciamo una sosta, il cielo si annuvola e incomincia a sentirsi qualche tuono. Le pareti strapiombanti sopra di noi non ci permettono di individuare il temporale. Attraversiamo le due gallerie utilizzate dal sentiero. (In totale ci sono sette gallerie d’un importante cantiere iniziato nel 1902 per la creazione di una centrale idroelettrica. Lavori, poi abbandonati definitivamente, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Le altre gallerie sono pericolose e ingombre di pietre. In caso d’urgenza o di temporale si può eventualmente utilizzare la galleria di Guégues (lunga 1196 metri) per evitare la scala della Breccia Imbert. ) All’uscita delle gallerie, una scala in cemento ci riporta sulle sponde del Verdon e quindi al posteggio del Corridoio Samson. Il posteggio è interdetto ai pullman, quindi dobbiamo, visto che tuona sempre di più, risalire in gran fretta (per chi ci riesce) a Point Sublime. Il temporale si scatena quando ormai siamo tutti sul pullman.

Il giorno seguente, il temporale ha rinfrescato l’aria, fuori l’albergo vi è un po’ di foschia, ma la giornata si preannuncia bellissima. Il Verdon ,che scorre al fianco dell’albergo, ha aumentato la portata d’acqua. La causa non è da attribuire al solo temporale, probabilmente a monte hanno aperto la Diga. Speriamo bene. La fatica del giorno prima e, la prospettiva di una escursione, seppur più breve del Sentiero Martel, ma impegnativa per alcuni passaggi, dimezza gli escursionisti. Pertanto sono in 30 i turisti per i quali ho programmato: la visita di Moustiers S.te Marie e del suo museo della ceramicaLago S.te Coix  ed eventuale escursione in pedalò per risalire il Verdonil castello di Aiguines -. Scendiamo dal pullman in 21 al rifugio de La Maline . Nel frattempo i miei timori si rilevano esatti. Il Verdon è diventato “marron”. Si scende percorrendo lo stesso sentiero del giorno prima. Raggiunto il fondo giriamo a destra per raggiungere la passerella dell’Estellié. Nel preparare l’escursione avevo saputo che la vecchia passerella era stata travolta dalle piene nel 1994 (un anno dopo il nostro passaggio), ma attualmente era stata rifatta. La nuova passerella non aveva niente a che vedere con la vecchia, però ci consentiva di attraversare il Verdon. Infatti, mentre ieri il sentiero Martel risaliva interamente lungo la sponda destra del fiume, il sentiero dell’Imbuto scende lungo la riva sinistra. Il sentiero si presenta meno difficoltoso del previsto, grazie ai numerosi cavi predisposti. Si sviluppa quasi interamente a pochi metri dal corso d’acqua, la cui portata, pur essendo più abbondante del solito (e sempre più marron) non mi preoccupa per il ritorno. Infatti, dalla spiaggietta dell’Imbuto esiste un sentiero (uscita Vidal), seppur ripido ma che sale alla sovrastante strada. Passiamo dei tratti scavati nella roccia e, dopo aver percorso il passaggio del Mauguè, arriviamo alla spiaggetta dell’Imbuto. Quì, il Verdon scompare per quasi 150 metri, al di sotto di un caos roccioso nel quale ha scavato tre gallerie profonde da 20 a 30 metri. Arrivano alcuni canoisti e la Gianna e l’Angiola gli osservano mentre, caricate le canoe in spalla, affrontano la non comoda salita tra le rocce franate che li porterà, dopo la relativa discesa al Baou Béni. Le grotte del Baou Béni, dove il Verdon esce dall’Imbuto, sono raggiungibili, secondo le guide in una mezzora, che con il ritorno fanno un’ora. Nessuno se la sente di affrontare quell’amasso di rocce franate, anche perché fa caldo ed è ormai mezzogiorno. Ci accontentiamo di vedere le grotte dalla foto della guida. L’unica ombra della spiaggia, a ridosso della parete di roccia viene occupata interamente dal nostro gruppo e dai numerosi escursionisti presenti. Alle 13 con la mia rinnomata gentilezza invito il gruppo ad affrontare la via del ritorno. Nessuno apparentemente osa fiatare. Ripercorriamo lo stesso sentiero sino alla passerella e, dopo una foto di gruppo, ci aspetta la ripida salita alla Locanda dei Cavallieri. Salendo possiamo vedere il Rifugio de la Maline, all’altro lato della gola. Ritroviamo il pullman con i turisti, entusiasti per la bella, anche se calda, giornata trascorsa. Più avanti faccio fermare Giulio per poter ammirare per un’ultima volta il Verdon dal belvedere della Mescia. Un’ultima foto ricordo e poi si ritorna a casa.

                                                                      Igor

                                                                              

                        

Dagli Appennini alle Pale di San Martino
16 - 19 luglio 2003

Partenza all'insegna del thriller: dopo pochi chilometri di autostrada il giallo ( nel senso letterale del termine) della benzina nell'auto del Capo. Sosta per indagini a Campora, tutto risolto in pochi minuti (non per nulla il Capo e un ex-poliziotto). A Ghedi il giallo continua: misteriose telefonate con l'auto di Cesare che poi aspetteremo per un bel po' all'uscita dell'autostrada. Girano voci di tamponamenti, non sapremo mai cosa sia, in realtà, accaduto nel frattempo. Definita la logistica delle auto a San Martino di Castrozza, finalmente, sul far del mezzodì partiamo in tredici (scongiuri vari da parte dei superstiziosi) dal passo Valles per la prima tappa del nostro trekking che ci porterà ai rifugio Volpi al Mulaz. In lontananza scorgiamo Falcade, salendo alla forcella Venegia una bellissima panoramica sulle Pale di San Martino fino al Cimon della Pala. Proseguiamo lungo il sentiero attrezzato che ci condurrà alla forcella Venegiota e al passo Fochett di Focobon. Nuvole  di vapore giocano con le cime che, a poco a poco, scorgiamo sempre più vicine, suggestive immagini ci raccontano il Campanile Alto dei Lastei, la Cima Zopel, la Cima di Campido e la spettacolare Cima dei Focobon che domina il rifugio Mulaz dove arriviamo alcuni per primi, altri per secondi, altri ancora per terzi. Cena: minestrone di verdure, verdure senza minestra, dadini di ver­dure con torta, grappa di verdure, caffè alla verdura. Il giorno dopo, dalla vetta del monte Mulaz. panorama a 360' gradi su tutte le Dolomiti visibili dalla Marmolada al Sassolungo e, ovviamente, in primo piano, le Pale. Le macchine fotografiche crepitano come mitraglie, esclusi i "digitali" anche questa volta batterò il record degli scatti. Scendiamo al rifugio da dove, recuperati, purtroppo, gli zaini ci avviamo verso il passo delle Farangole (2814 m.) incastonato tra il Campanile dì Focobon e la Torre delle Quattro Dita. La salita è verticale, poi comin­cia il sentiero attrezzato. Qualche difficoltà rallenta il passaggio; tre escursionisti tedeschi ci guardano con una faccia un po' così e, bor­bottando qualcosa di incomprensibile, ci superano passando più a lato. Scendiamo nella Valgrande accompagnati da nebbia e nuvole. Il Capo è irrequieto: forse pioverà. Appena superato il sentiero attrezzato sopra il vallone delle Comelle un temporale con i controfiocchi mette alla prova tutto il gruppo. I soliti noti accelerano, altri un po' meno; Angiola ed io rimaniamo sole sull'interminabile sentiero verso il rifugio Pedrotti; grazie alla cartina di Angiola riusciamo ad arrivare al rifugio bagnate fino al midollo come, del resto, tutti gli altri. Per la gioia dei gestori del Pedrotti passiamo la serata a ricoprire la stube con le nostre cose bagnate, gli scarponi zuppi. Piero si autonomina fuochista e dà fondo alla scorta di legna del rifugio. Le previsioni del tempo non ci confortano, ma il mattino dopo la giornata è splendida. Sembra di essere in una cartolina: cielo blu, aria tersa, panorami a perdita d'occhio. Chi sale alla cima Rosetta, chi stende al sole scarponi e panni ancora umidi, chi attende pigramente l'ordine di pronti a muovere. Al Passo Pradidali basso sosta per le foto di rito; sullo sfondo svetta il Sass Maor. Il Capo decide di non arrivare alla Fradusta passando per il ghiacciaio, così ci acquartieriamo nei pressi e ne approfittiamo per soleggiare ancora un po' gli scarponi. Con il riverbero del ghiacciaio il sole è accecante. Il Capo si ustiona una . gamba (l'altra al prossimo trekking); Gino ha problemi con la macchina fotografica: il temporale di ieri non l'ha risparmiata ma, come sempre, le sue foto saranno le più belle. Scendiamo dal passo della Fradusta in ordine sparso; con un colpo da maestro riesco a vedere il firmamento in pieno giorno battendo un ginocchio su una roccia dispettosa. Esaurita l'ultima stellina, riprendo il cammi­no,  il buon Cesare mi aspetta più in basso. Arriviamo infine al rifugio Pradidali, il piu bello di tutto il trekking: sembra di essere sospesi su di una grande balconata con la Cima Canali e il Sass Maor che fanno da quinte. Dopo cena si fanno scommesse sull'età di una guida alpina che attira l'interesse di quasi tutte le signore presenti. Poi tutti a nanna; domani è l'ultimo giorno. Di buon'ora ci avviamo al Passo di Bali sovrastato da verticali pareti; da qui un lungo traverso attrezzato e poi un lunghissimo riposante zig-zag fino al Colle dei Becchi. Foto dei soli uomini sotto il cartello omonimo e poi ancora via per zig-zag fino allo sterrato che ci porterà a San Martino di Castrozza "esattamente" dove abbiamo la­sciato l'auto di Ornella. Anche questo trekking è finito; grazie a Igor che ha organizzato un percorso splendido; grazie ad Anna, Angiola, Ornella, Nadia. Gianna, Piero, Franca, Gino, Cesare, Angela, Eva come sempre ottimi compagni di avventura. Appuntamento a tutti al prossimo trekking.

                                                                                    Elisa

 

       


 
                        

Le "mie" Cime d'Auta

Colmean, ore 6,00 di domenica 20 luglio 2003, puntualissimi partiamo: Domenico, Nicola, Edoardo, i crodaioli, Igor, Pierluigi, Cesare ed Io, lo sparuto ma determinato drappello dei Montagnin. Capisco subito che dovrò "tirare" visto che sono l'unica donna del gruppo e che i miei compagni sono dei panzer inossidabili. Da buon vecchio diesel, lento e costante, mi piazzo nelle retrovie; ogni tanto qualcuno si volta, controlla la situazione. I crodaioli mi aspettano e fingono delicatamente di fermarsi qua e là a chíaccherare e a guardare il paesaggio che, sicuramente, conoscono a millimetro quadrato. Ore 8,20: siamo all'attacco ,della ferrata: i crodaioli come se andassero a fare due passi al Righi, Igor in perfetta tenuta da ferrata, Pierluigi con un cordino che non utilizzerà, Cesare con qualche moschettone di troppo, io ho solo il cordino ma, in compenso, indosso un bel caschetto rosso che mi ha prestato il Paccani. Partiamo: per primi Edoardo ed io, poi Cesare, Nicola, Igor, Domenico e Pierluigi che viene su come se andasse in bicicletta. Saliamo tra scalette, cavi e cavetti; è bellissimo; ogni tanto guardo in alto per vedere com'è la via, poi provo ad incastrarmi in un passaggio verticale: chissà cosa penseranno i crodaioli. In realtà sono gentili, simpatici e, soprattutto, espertissimi; credo che con Edoardo potrei anche andare sul Monte Bianco in assoluta sicurezza. Ci fermiamo su una sella per bere un po' d'acqua; qualche nuvola e un po' di nebbia fanno a rimpiattino con la Marmolada ma riusciamo a vedere anche l'arrivo della funivia illuminato dal sole. Ricominciamo a salire; a poco a poco la fatica lascia posto a nuove sensazioni. Sono contenta di essere qui dopo aver sentito parlare di queste cime per anni; non ci sono mai stata, ma non mi sento estranea, anzi. Ore 10,50: ancora un po' dì salita e siamo in vetta. Non mi sembra vero, sono arrivata alla Madonnina dì Giuseppe Arata, che i crodaioli amorevolmente ricollocarono al suo posto dopo che un fulmine l'aveva danneggiata. Non ho conosciuto Giuseppe, ma mi sembra di percepire la sua intima soddisfazione nel vedere la sua Madonnina lassù sulle sue amate cime; deve essere stato un gran bel personaggio. Avevo pensato che, forse, avrei dovuto dire due parole per celebrare il nostro 75° anniversario, ma quassù è tutto così semplice e spontaneo che mi sembra inutile parlare. In realtà un'emozione profonda mi consiglia il silenzio. Riesco a telefonare a Silvestro per dirgli che sono in cima. Poi mi guardo attorno; vedo Caviola là sotto, la croce immortalata nella foto in sede; penso che mi piacerebbe che fossimo tutti qui. Scrivo sul libro di vetta:  20 luglio 2003: I Montagnin di Genova nei 75° anniversario di fondazione in ricordo di tutti i Soci. Meno male che ho gli occhiali da sole: un paio di lacrime scappano prima che riesca a fermarle: penso a Liliana, a Franco, a quanto vorrei che fossero qui con me, ma sicuramente un po' ci sono Proprio sotto la Madonnina una foto ricor­da due splendidi giovani crodaioli caduti su un'altra montagna. Siamo tutti un po' commossi. Foto per immortalare l'impresa e poi giù per una lunga ma bella discesa tra prateria e boschi fino a Colmean. Ringraziamo di cuore i crodaioli e ci diamo appuntamento per l'80°. Dalla finestra dell'albergo le Cime sono bellissime illuminate dal tramonto. Sembra che aspettino, sicure,  il  ritorno degli amici.

                                                                                        Elisa 

 

                                                                             

[Home][Siamo Qui][Chi Siamo][Regolamento Gite][Programma][Giornalino][ Foto & Video][Classifiche][Curiosità][Archivi][Notizie Utili][Percorsi GPS][La posta][Links]